Nel 1918, esattamente un secolo fa, il pittore russo Kazimir Malevic realizzò una tela assurda e significativa: rappresentava un quadrato bianco su fondo bianco. Kandinskij la commentò così: “Il bianco ci colpisce come un grande silenzio che ci sembra assoluto”. In poche parole, il bianco come assenza di suono.
Bisognerà attendere il 1952 affinché le parole di Kandinskij trovassero applicazione anche in campo musicale, quando il compositore statunitense John Cage portò in scena il suo famoso 4’33’’: quattro minuti e trentatré secondi di assoluto silenzio, basati su uno spartito bianco che impone all’orchestra di non suonare.
Secondo l’autore, 4’33” non è in realtà un’opera silenziosa, perché il vero centro di attenzione diventano i rumori casuali che si sentono durante il silenzio dei musicisti, come quelli causati dalla caduta di un oggetto, dal ronzio di un insetto, dal respiro degli spettatori.
Entrambe queste opere hanno avuto un’enorme influenza sui rispettivi ambiti artistici. Ripartire da una tela bianca per fondare un nuovo immaginario figurativo, ripartire dal silenzio per fondare una nuova teoria musicale.
La “sound art” deve dunque molto a questo primo provocatorio esperimento di Cage. È una corrente artistica d’élite, riservata ai galleristi e a pochi facoltosi estimatori. Almeno fino a quest’anno, quando i curatori di Artissima, in occasione del 25° anniversario, hanno deciso di ospitare 16 “artisti sonori” presso le Officine Grandi Riparazioni di Torino. Un ambiente unico e suggestivo, nel quale Nextoffice ha ricevuto l’incarico di creare le condizioni ideali affinché i visitatori potessero fruire al meglio delle “opere” presenti.
I suoni interagiscono fra loro, e noi possiamo interagire col suono fino a un certo punto, o non interagire per nulla: era questo il nocciolo della stimolante sfida progettuale che abbiamo preso in carico.
Tenendo nel dovuto conto un altro importante fattore: dal punto di vista formale, le opere sonore, per quanto immateriali, valgono tanto quanto un’opera d’arte visiva. Bisogna pertanto tutelarle e preservarle nella loro integrità, e la loro naturale tendenza all’interazione deve essere quindi governata e “canalizzata”.
L’artista esprime il carattere e la forza evocativa dei suoni (o della loro assenza!), noi dobbiamo organizzarli, renderli distinguibili, favorirne la percezione. Una sfida razionale e concreta che applichiamo quotidianamente a tutti gli ambienti condivisi, e che in questa specifica occasione abbiamo esteso all’ambito più strettamente artistico. Bianco su bianco, silenzio su silenzio.